Si pubblica un interessante articolo scritto dalla studiosa d’archivistica Cav. Dottoressa Patrizia TURRINI nostra socia che ringraziamo per la ricerca effettuata sulla cavalleria nel Medioevo a Siena.
Introduzione. Le origini della cavalleria si possono forse rintracciare nel mito dei fantastici centauri: l’uomo che, domato il cavallo, lo cavalcava con destrezza poteva sembrare, agli occhi delle popolazioni del mondo antico, come un unico e nuovo animale capace di spostarsi velocemente e al contempo dotato dell’intelligenza umana. Nelle guerre che, in progresso di tempo, costituiscono – ahimè – una costante della storia dell’umanità, coloro che combattevano sui cavalli spesso risultavano vincenti sui fanti appiedati e peggio equipaggiati; dal successo in quei combattimenti nacque la fama della cavalleria nei vari eserciti. A Roma, fin dall’epoca della monarchia, l’Ordine equestre fu istituzionalizzato con connotati militari, divenendo poi, con le riforme dei Gracchi (133 a. C.), una classe di censo, posta in mezzo fra senatori e plebe: gli equites dovevano essere liberi cittadini, di almeno 18 anni, e possedere un censo stabilito; alcuni ricevevano il cavallo dallo Stato, altri lo mantenevano a proprie spese; tutti portavano come distintivo del loro status un anello d’oro, con una gemma incastonata a mo’ di sigillo. Successivamente l’Ordine equestre romano decadde, anche perché gli imperatori lo conferivano spesso a loro favoriti, anche liberti arricchiti, e perché non pochi cavalieri si comportavano con scarsa dignità.
Dopo il dissolvimento dell’Impero romano, arriviamo, con un forte salto temporale, ai secoli IX e X, quando la Chiesa, per evitare costumi troppo crudeli, contribuiva a fondare la cavalleria medievale, cercando un equilibrio tra la pietas cristiana e la vocazione bellica propria delle popolazioni barbariche: in questa istituzione alla regolata capacità di combattere si assommava infatti il dovere di soccorrere, anche con le armi, poveri e bisognosi, specie se orfani e donne. All’incremento della cavalleria medievale contribuirono le leggende galanti ed eroiche, narrate nelle corti e nei castelli, sui paladini di Carlo Magno e sui cavalieri della Tavola Rotonda di re Artù, e soprattutto la diffusione del culto di una serie di “santi cavalieri”; Michele, Giorgio, Demetrio, Maurizio…
Un culto incrementatosi sul lungo periodo, come suggeriscono ad esempio due copertine di registri di uffici comunali senesi, sulle quali è raffigurato San Michele Arcangelo. Nella prima assai rovinata, facente parte dell’archivio dell’Opera della metropolitana, datata alla seconda metà del sec. XIV, forse di Paolo di Giovanni Fei, il Santo raffigurato seduto in trono, mentre calpesta il drago ormai vinto, innalza con la mano destra la spada in segno di vittoria, al suo fianco sinistro è appoggiato lo scudo preziosamente istoriato. Nella seconda copertina della Gabella, ufficio finanziario, datata 1444 luglio-dicembre, attribuita al Maestro dell’Osservanza, San Michele sta combattendo aspramente con il drago in una simbolica e movimentata rappresentazione del Bene che sconfigge il Male
Nei secoli successivi la cavalleria annoverava soprattutto i membri delle famiglie feudali, anche perché solo i nobili con i loro redditi terrieri, o se cadetti con l’aiuto dei congiunti, potevano adempiere ai notevoli costi dell’investitura e al dettato che vietava al cavaliere di esercitare altra arte o professione che desse lucro. La cavalleria raggiunse il massimo splendore tra l’XI e il XIII secolo con la fondazione degli Ordini cavallereschi legati alle spedizioni oltremare (quelle che modernamente sono conosciute come crociate): Ospitalieri, Templari, Teutonici, i cosiddetti “cavalieri di Cristo”, guerrieri ma solo contro gli infedeli e al contempo monaci, facevano vita in comune e avevano l’obbligo del celibato e dell’obbedienza.
La cavalleria sia feudale, sia degli Ordini crociati, decadde nei secoli successivi, divenendo un simbolo onorifico, concesso sia dagli Ordini sopravvissuti, in particolare quello di Rodi poi di Malta, sia dai vari sovrani o dal pontefice a un personaggio, talvolta dietro pagamento, talvolta per servizi resi in campo militare o civile: il riconoscimento era comunque in gran parte svuotato delle originarie funzioni sociali e religiose, così in più casi ‘l’onore diventava un merito’. Anzi i vari sovrani, in gara fra di loro, crearono una serie di Ordini utili soprattutto per legare alla dinastia regnante i nobili, detti appunto “cavalieri dei re”. Un esempio è l’Ordine di Santo Stefano fondato nel 1561 dal granduca di Toscana Cosimo I, con approvazione di papa Pio IV. In una tavoletta di Biccherna, magistratura finanziaria del Comune di Siena, del 1562, è rappresentato proprio il momento fondativo con il granduca che nel duomo di Pisa riceve da Giorgio Cornaro, nunzio pontificio, le insegne di gran maestro dell’Ordine
Come tutti sappiamo, il nome di “cavaliere” sotto questa tradizione soprattutto onorifica è giunto fino a noi, tuttavia i fini pacifici e solidali e la ‘natura’ dell’odierno insignito, creato come tale per meriti nel campo del lavoro o sociali o sportivi, nulla hanno a che fare con gli scopi della cavalleria medievale o ne riprendono solo pochissimi aspetti. Una cavalleria, quella odierna, piuttosto all’insegna dei principi indicati dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, nel discorso tenuto al Quirinale nel 2001, nel cinquantesimo dell’istituzione dell’Ordine al merito della Repubblica italiana: “Non sono le decorazioni cavalleresche che rendono onore alle persone, ma sono il merito e il valore della persona che rendono onorevoli le decorazioni”.
La cavalleria a Siena nel Medioevo. Tutto ciò premesso, ritengo che alcune annotazioni relative a norme, consuetudini e personaggi che esercitarono la cavalleria a Siena nel Medioevo possono risultare ancora oggi interessanti come memoria storica.
Nei tempi più antichi i cavalieri appartenevano alla nobiltà feudale del territorio di influenza senese ed erano obbligati a servire con le armi, se richiesti, gli imperatori e i loro rappresentanti. Così fece, ad esempio, il cavaliere Ildibrandino di Uguccione Aldobrandeschi, “familiare” dell’imperatore Federico I, che nel 1160 lo nominava conte palatino: questa alta protezione contribuì al consolidamento del potere degli Aldobrandeschi in Maremma. Un altro esempio di nobile del contado senese che esercitava cavaliere è quello di Galgano Guidotti, vissuto tra il 1148 e il 1181 a Chiusdino, divenuto santo nel 1185, dopo un immediato processo di canonizzazione nel quale fu interrogata la sua stessa madre Dionisia. In una tavoletta del 1320 della Biccherna è rappresentato nei suoi eleganti abiti e con la spada da cavaliere, quella che sta infiggendo nella roccia per intraprendere invece la vita eremitica che lo porterà tra i Santi protettori della città
I costi per l’assunzione della cavalleria erano davvero elevati: spese per l’armatura e per l’equipaggiamento, mantenimento dello scudiere, dei paggi e di più cavalli (da viaggio, da parata, da combattimento). Così il feudatario spesso si rivaleva sui propri vassalli, i quali erano tenuti a pagare un doppio contributo ad ogni cerimonia di investitura cavalleresca di uno dei figli del loro signore, come risulta, ad esempio, in una imposizione fatta dai signori di Torniella nella Maremma agli abitanti di quel castello nel 1233, e da un contratto stipulato nel 1225 dai coniugi Ranuccio e Sobilia di Staggia con i loro affittuari. Il raddoppio dell’imposta era dovuto sia per l’assunzione della cavalleria, sia per un matrimonio, sia per pagare il riscatto di un appartenente alla famiglia dei signori, che fosse stato catturato dai nemici.
Nei secoli XII-XIII alcuni feudatari senesi si recarono come “crociferi” in Terrasanta: gli eruditi seicenteschi riferiscono, ad esempio, del conte Ranieri d’Uggeri d’Elci che poi sposò Despina principessa della Croazia e della Serbia, e del cavaliere Guido Bandinelli, nipote del papa Alessandro III, che partecipò nel 1219 all’espugnazione della città di Damietta e al ritorno a Siena fece costruire un grandioso palazzo. Di questo personaggio, noto come Guido del Palagio o da Palazzo, si conserva ancora il sigillo cavalleresco.
Nelle città la cavalleria si introdusse più tardi rispetto al territorio, cioè quando i nobili lasciarono i loro castelli nel contado e si inurbarono, volontariamente o perché costretti dai patti di sottomissione con il Comune, quindi soprattutto dagli inizi del Duecento. Al Comune medievale di Siena stava a cuore la presenza di numerosi cavalieri, sia per poterli avere nel proprio esercito, sia come “onore” della città stessa, sia per utilizzare i loro “servigi” nelle ambascerie presso altri Comuni e signorie. Fin dal secolo XIII gli statuti prevedevano un donativo per i nuovi cavalieri, solo se cittadini senesi, per il valore di 100 soldi (5 lire), sufficienti per l’acquisto di spada, cintura e speroni dorati e per l’offerta durante la messa che precedeva la cerimonia. Dai pagamenti per tale donativo, effettuati nella prima metà del Duecento dal camarlengo della Biccherna, risultano varie investiture cavalleresche: ad esempio, nel 1226, per la festa di Santa Maria d’agosto, fu fatto cavaliere Orlandino di Abramo; nel luglio 1248, Bandinello di Guido del Palagio, figlio del “crocifero” già ricordato. Rimane anche il ricordo del cavalierato nel 1264 del giudice Mozzo, circostanza in cui il Comune ghibellino pagò eccezionalmente le spese per il padiglione predisposto nella piazza del Campo, donando inoltre al giudice ben 100 lire, per deliberazione del Consiglio generale e del popolo.
La cerimonia, condotta con semplicità quando avveniva nell’accampamento militare durante una guerra o una spedizione, era invece celebrata in città con sontuosità e con notevoli spese, anche per l’obbligo del nuovo cavaliere di tenere una “corte bandita”. L’aspirante cavaliere doveva infatti far annunciare a Siena e nel contado il giorno della investitura e i giorni, da otto a quindici, dei relativi festeggiamenti. Il complesso rituale prevedeva più funzioni religiose con digiuni e penitenze, che culminavano nella solenne investitura da parte dell’imperatore, o di un re o un principe, o più spesso da parte di uno o più cavalieri anziani, o anche in progresso di tempo di un delegato del papa; infine si teneva una serie di feste laiche, cioè conviti, cene, tornei e balli. Dalla dettagliata descrizione dei sontuosi festeggiamenti per l’investitura a cavaliere nel 1326 di Francesco di Sozo Bandinelli, sappiamo che dal 18 al 25 dicembre furono organizzati ottobanchetti con circa trecento “taglieri” (un tagliere veniva imbandito per due invitati). Trattandosi della settimana che precedeva il Natale, alcuni menù furono “di grasso” e altri “di magro”. Per fare un esempio, il 23 dicembre furono serviti ravioli bianchi, vitello lesso e cacciagione, “ambrogino di pollo” alla frutta secca, cappone arrosto e pere candite.
Il momento centrale del complesso cerimoniale era comunque quello della consacrazione del nuovo cavaliere, davanti a numerosi spettatori, con una serie di atti simbolici, non tutti sempre compiuti: la “guanciata”, il bacio, il tocco con la spada sulla testa e sulla spalla, le ghirlande, gli elmi, i cappucci posti sul capo dell’aspirante… Alcuni di questi atti, se effettuati, davano luogo a particolari qualificazioni: “cavalieri bagnati”, “di corredo”, “di scudo”… Il rito, compiuto senza eccezioni, quello che dava validità alla cerimonia, era l’apposizione all’aspirante, da parte di cavalieri ‘di lungo corso’, del cingolo militare (spada, cintura e speroni d’oro o dorati); a seguire il nuovo cavaliere giurava sul vangelo di essere fedele alla Chiesa, di assumere la difesa dei propri concittadini, di combattere per le cause giuste, in particolare per le vedove, gli orfani e i poveri, infine di mantenere e rispettare la dignità di miles.
Anche a Siena, come in altre città, i cavalieri formarono una corporazione, vero e proprio nerbo dell’esercito ghibellino; la corporazione era retta da tre consoli, uno per Terzo, eletti all’interno del sodalizio stesso. Nella battaglia di Montaperti i principali artefici della vittoria dei senesi contro i fiorentini furono, come è noto, i cavalieri teutonici di re Manfredi, ma dettero il loro importante contributo anche i cavalieri della città e del contado, difendendo tra l’altro il carroccio.
I milites con i loro consules mantennero grande prestigio nell’ordinamento comunale anche dopo il trapasso negli anni Settanta del Duecento dal ghibellinismo filo-imperiale al guelfismo e nonostante l’esclusione per legge delle famiglie magnatizie dal governo popolare. Il costituto in volgare del 1309-1310 riporta una serie di privilegi, anche come forma di ‘compenso’ per la citata esclusione politica, e al contempo una serie di obblighi per i cavalieri e in particolare per i loro consoli. I cavalieri avevano diritto, in occasione dell’investitura, di tenere in piazza del Campo la propria corte, innalzando anche strutture di legname, non ricevendo tuttavia doni contro le norme suntuarie; i tre consoli dei cavalieri – eletti ora dai Nove, dalla Biccherna e dalla Mercanzia – avevano il compito della difesa dei Nove da ribellioni e congiure, tenendo sempre ben distinte le proprie funzioni da quelle dei governanti, potevano richiedere la convocazione dei Consigli generali e parlare liberamente in tali Consigli anche in materie vietate agli altri cittadini; tutti i cavalieri dovevano partecipare armati e con il proprio cavallo alle imprese militari, sotto pena di 50 lire per il primo giorno di assenza e di 10 lire ogni giorno successivo. Una tavoletta di Biccherna del 1364, attribuita seppur con dubbi a Lippo Vanni, raffigura fra tutti coloro che erano tenuti a versare tributi al “Buon Governo” di Siena, facenti quindi parte attiva della società senese, anche un cavaliere con la sua ferrea armatura e la sua spada scintillante.
La normativa suntuaria, in particolare quella contenuta nello “statuto del donnaio” del 1343, dava ‘grande onore’ ai cavalieri, con mogli e figli – e anche ai giudici e ai “medici fisici” – , consentendo loro quello che proibiva a tutti gli altri cittadini, compresi i mercanti e la classe “mezzana” a quel tempo al governo, cioè sfoggiare abiti di zendado, di velluto, rifiniti di ermellino e di vaio, scarpe stampate e dorate, cinture, diademi, fermagli, bottoni e frange d’oro e d’argento, perle e pietre preziose. Alle categorie esenti dalle leggi contro il lusso era consentito anche tenere conviti, matrimoni, feste e balli senza limitazione nel numero degli invitati e nel numero e tipo di pietanze, infine da defunti essere rivestiti e accompagnati all’ultima dimora con una pompa proibita a tutti gli altri.
Quando nei Comuni fu istituito l’ufficio di podestà, come autorità suprema nell’amministrazione della giustizia, nella tutela dell’ordine pubblico e nel comando dell’esercito, gli statuti vollero che si trattasse di un forestiero che fosse cavaliere, o che comunque all’ingresso in carica ricevesse la cavalleria. A Siena il podestà doveva portare con sé altri cavalieri che lo coadiuvavano specie nel controllo dell’ordine pubblico in città e nel contado: norme specifiche prevedono infatti la loro presenza presso il monastero di San Galgano, a Paganico, Petriolo, Prata e Macereto, a Buonconvento e nella strada Francigena. Così i connestabili dell’esercito senese erano spesso cavalieri, anche di corredo. Talvolta quelli che esercitavano il mestiere delle armi si riunivano in “tavole rotonde” oppure si davano il nome di “cavalieri erranti”, rifacendosi a nomi e tradizioni della cavalleria altomedievale. Anche i senesi che andavano a ricoprire la carica di podestà in altri Comuni di rilievo avevano il titolo di cavaliere o lo ricevevano all’ingresso nell’ufficio. A Siena dovevano essere obbligatamente insigniti del cavalierato il rettore dell’Opera del Duomo e quello dell’ospedale del Santa Maria della Scala, entrambe cariche ricoperte a vita.
In progresso di tempo agli appartenenti all’aristocrazia si unirono nel cavalierato persone molto ricche, o di alta posizione sociale o culturale, mai di condizione umile o servile. Così nel Quattrocento molti appartenenti ai Monti dei Nove, del Popolo e dei Riformatori, facenti parte del governo del Comune di Siena, ‘si nobilitarono’ con la cavalleria concessagli da imperatori, re, conti, e altri titolati e anche da cavalieri più anziani, e successivamente dai pontefici, spesso a ricompensa di incarichi che quei personaggi avevano svolto. Certo lo “status” sociale di cavaliere comportava una serie di costosi obblighi: ad esempio Ludovico Petroni, giurista e letterato, appartenente al Monte dei Nove, cavaliere cesareo e conte palatino, diceva di se stesso nel 1466: “ Truovomi cavaliere e bisogniami tenere famegli e chavagli, che l’arte de’ chavagleri a Siena è graveza”.
Con il proliferare di cavalieri nominati addirittura “in fasce” o “in articulo mortis” l’istituzione diventava, in progresso di tempo, più che altro un titolo da esibire, presto sostituita dagli Ordini equestri con i quali re e principi compensavano e legavano a sé i propri sudditi di famiglie per lo più aristocratiche. Ma questa è un’altra storia che vi racconterò, se lo vorrete, in un’altra puntata!
Bibliografia essenziale
C. Mazzi, Descrizione della festa in Siena per la cavalleria di Francesco Bandinelli nel 1326, in “Bullettino senese di storia patria”, XVIII (1911), pp. 336-363.
A. Lisini, La cavalleria del Medioevo e l’origine delle decorazioni equestri, Siena, Lazzeri, 1929.
Le Biccherne. Le tavole dipinte delle magistrature senesi (secoli XIII-XVIII), Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali – Ufficio centrale per i beni archivistici, 1984.
M.A. Ceppari Ridolfi e P. Turrini, Lusso e cerimonie nella Siena Medievale. Con l’edizione dello statuto del Donnaio, Siena, Il Leccio, 1993.
P. Turrini, Ludovico Petroni. Diplomatico e umanista senese, in “Interpres. Rivista di studi quattrocenteschi diretta da Mario Martelli”, XVI (1997), pp. 7-59.
Il costituto del Comune di Siena volgarizzato nel MCCCIX-MCCCX, a cura di M. Salem Elsheikh, Siena, Fondazione Monte dei Paschi, 2002, Dist. I, capp. 28, 37, 38, 91-92, 94, 151, 269-270, 368, 491; Dist. III, cap. 56, 169; Dist. V, capp. 186, 190, 283, 505, 506, 508.
Cavalieri dai Templari a Napoleone. Storie di crociati, soldati, cortigiani, a cura di A. Barbero e A. Merlotti, Milano, Electa, 2009.
Didascalie
[Fig. 1] Siena, Archivio di Stato, tavoletta di Gabella n. 27, Maestro dell’Osservanza, San Michele Arcangelo combatte contro il drago, 1444 luglio- dicembre.
[Fig. 2] Siena, Archivio di Stato, tavoletta di Biccherna n. 65, Tiberio Billò, Cosimo I de’ Medici riceve le insegne di gran maestro dell’Ordine di Santo Stefano, post 15 marzo 1562.
[Fig. 3] Siena, Archivio di Stato, tavoletta di Biccherna n. 11, priva di attribuzione, Il camarlengo don Stefano, monaco di San Galgano, inginocchiato davanti al Santo, 1320 gennaio-giugno.
[Fig. 4] Sigillo cavalleresco di Guido del Palagio (da A. Lisini, La cavalleria del Medioevo e l’origine delle decorazioni equestri, Siena, Lazzeri, 1929).
[Fig. 5] Boston, Museum of Fine Arts (inv. n. 50.5), tavoletta di Biccherna, Lippo Vanni (?), Offerta di tributi, 1364 gennaio-giugno.
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